Il Quartetto Beethoven di Roma

il violinista Felix Ayo, il violista Alfonso Ghedin, il violoncellista Enzo Altobelli ed il pianista Carlo Bruno

Sarebbe decisamente banale dire che, riunendo quattro strumentisti di fama ognuno dei quali è ben apprezzato nella sua carriera solistica, è naturale che il risultato ottenuto sia di altissimo livello, bensì apprezzamenti di ben altra profondità, come questo fornito dalla stampa all’indomani di un loro concerto alla Scala di Milano: «…È la qualità del sentimento la carta vincente di questa formazione: un sentimento nobile, raffinato, profondo eppure trasparente come la sonorità di questo gruppo»: la formazione è il Quartetto Beethoven di Roma.

A comporlo, alcuni nomi ben noti al panorama musicale: il violinista Felix Ayo, il violista Alfonso Ghedin, il violoncellista Enzo Altobelli ed il pianista Carlo Bruno, tutti questi illustri musicisti hanno fatto parte, anche stabilmente, di altre formazioni cameristiche (quartetto per archi, duo, trio etc.) spesso ugualmente note e prestigiose, tra le quali citeremo solo I Musici, i Virtuosi di Roma, I Solisti Italiani, il Quintetto Chigiano ed i quartetti Academica e Stradivari.

Riunendo i loro talenti nel 1970, questi musicisti ottengono da allora riconoscimenti internazionali alla qualità di un lavoro collettivo che, come recita internet, «Riversa nel repertorio del Quartetto con Pianoforte una incredibile freschezza interpretativa, che si rinnova ad ogni incontro.».

Il senso dell’incontro, dinamico, in perenne movimento e non adagiato sulla staticità di una fama ormai acquisita, ci pare l’elemento più positivo che si coglie nel leggere la storia e la carriera del Quartetto e soprattutto nell’ascoltare le loro testimonianze registrate.

Infaticabili nelle loro tournées in Europa, Russia, USA, Canada, Sud America, Australia, Africa, Nuova Zelanda, Giappone, costantemente presenti nei festival Internazionali di musica da camera, questi «fantastici quattro» sono conosciuti ed amati in tutto il mondo anche da schiere di allievi, che li seguono nei vari seminari (alla Victoria University di Vancouver, alla Musikhochschule di Friburgo e al Conservatorio di Sydney) svolti con il desiderio di trasmettere l’entusiasmo e la freschezza di questa loro brillante esperienza anche ai giovani musicisti.

La consuetudine di affiancare agli archi uno strumento a tastiera si ritrova fin dall’inizio del XVII secolo, con le sonate a due e a tre in cui gli strumenti ad arco venivano accompagnati e sostenuti dal clavicembalo con funzione di basso continuo; nel periodo classico l’ensemble cameristico per eccellenza diviene il quartetto d’archi, che però già in Mozart e Beethoven viene modificato aggiungendo a tre archi il pianoforte, che acquisisce ruolo più dialogico e concertante.

Proprio per l’incisione dei Quartetti con Pianoforte di Ludwig van Beethoven, realizzata nel 1977, il Quartetto Beethoven è stato insignito del «Premio discografico della Critica italiana».

Addentrandoci ormai nei repertori tardoromantici troviamo altri compositori nella discografia del Quartetto Beethoven; Johannes Brahms, Gabriel Fauré, Robert Schumann o Gustav Mahler.

The splendid concert given by the Quartetto Beethoven di Roma at Carnegie Recital Hall on Wednesday night.

The group’s first appearance here, was hardly a debut in the usual sense. The quartet’s members were old acquaintances, being former soloists of the celebrated Italian chamber orchestra, I Musici.
The names comes from the fact that the Quartetto was founded during the Beethoven bicentennial four years ago, and two of his quartets were on the debut program. Not string quartets, however. The Quartetto is a piano quartet, which in the enigmatic lingo of music means one violin, one viola, one cello and one piano—in this instance, Felix Ayo, Alfonso Ghedin, Enzo Altobelli and Carlo Bruno. Even; on first encounter one has ho hesitation in ranking the Quartetto Beethoven di Roma high among the finest ensembles of its type.
As I Musici fans might guess, the Beethoven works (the. quartets in E flat and C from Op. 152) were marked by lustrous string tone, suavely blended with Mr. Bruno’s impeccably played piano. This was superprofessional chamber‐music teamwork, somewhat glibber in style than the trade‐name Beethoven might lead a listener to expect, but giving a truthful account of interesting though derivative rococo scores composed by a 15‐year‐old of some talent…

The New York Times. January 25, 1974,